Skip to content

Brontolio

La tua fonte di brontolii quotidiani

ELOGIO DELL’INDIVIDUO E DELLA SUA COMPLESSITA’

ELOGIO DELL’INDIVIDUO E DELLA SUA COMPLESSITA’

Sono uno dei pochi esemplari umani rimasti che non possiede il Dogma. Mi
congratulo con quanti siano riusciti, in questo complesso periodo storico per altro, a
raggiungere la Verità: io sono pigra, voglio temporeggiare, voglio vedere cosa
succede. Naturalmente ho anche io le mie tesi, un po’ come tutti credo. Non saprei
dire se sono giuste o sbagliate, forse sarà il tempo a confermale o a smentirle, in toto
o soltanto in parte, staremo a vedere. Non è di queste, tuttavia, che mi preme
discorrere in questa sede, giacché ritengo che in questa strampalata gara all’idea
maggiormente degna di riscontri più o meno comprovati, si finisca col trascurare una
questione che non è trascurabile.
Si tratta nello specifico della questione individuale, dell’esperienza a questa legata e
della percezione della stessa. Poiché vi è un’emergenza sanitaria che va affrontata,
ma questo porta inevitabilmente con se una serie di metastasi economiche, politiche,
sociali e non da ultimo che non possono essere ignorate, se quanto si dichiara di avere
a cuore è nientemeno che il bene per l’umanità.
Non tutti siamo uguali, non tutti percepiamo alla stessa maniera quanto ci circonda.
Si tratta di un fenomeno che può essere condizionato da una serie di variabili, la
classe sociale o il contesto storico-geogafico ad esempio. Non si tratta, tuttavia, solo
di variabili esterne. Ognuno di noi è un individuo, ha una sua struttura, un carattere,
un temperamento, una percezione di quanto lo circonda: fenomeni condizionati in
parte dal contesto e dalle esperienze vissute, in parte adducibili a sfere della mente
umana non ancora esplorate. Innate, si potrebbe azzardare.
Quale che ne sia l’origine, ritengo abominevole che si possa anche lontanamente
supporre di ignorare, censurare, sminuire la dimensione individuale in favore di un
modello alla base di quello “stato etico” che è il presupposto di ogni regime
autoritario. Complice la situazione estremamente destabilizzante che stiamo vivendo,
mi capita di notare con non poca angoscia una qual certa tendenza a legittimarne i
presupposti. Sarò forse paranoica, incapace di dimensionare il fenomeno, eppure
(poiché, appunto, trattiamo di “percezioni”) la avverto. Si parla di “bene comune”, di
“buonsenso”, di “doveri verso la società”. Chi sgarra, anche una volta sola, anche di
poco, va criminalizzato, è un nemico di tutti. Potrebbe diffondere l’epidemia,
uccidere tua nonna. Fosse anche che va a correre da solo, nel bosco, o a farsi una
passeggiata lontano dalla città: se la Legge dice che non si può, diamine, non si può.
Se uno sgarra va punito, isolato, maledetto e rimaledetto, gli va sottratta la tessera
elettorale (sigh!) e negate le cure mediche. I più audaci propongono la deportazione
presso isole deserte, i gulag, l’esilio ad Eboli.

Chi dissente, quale che sia la sua prospettiva, sta sminuendo il problema nel momento
in cui tende ad identificarlo in questioni non necessariamente riconducibili alla sfera
sanitaria. Anch’esso andrebbe messo a tacere, per il bene di Tutti.
Quelli che addirittura si spingono fino a manifestare pubblicamente il proprio
dissenso e il loro disagio, sono equiparabili ai terroristi. Perché ci è stato caldamente
consigliato di limitare le uscite a quanto reputato “essenziale”, e pare che nell’odierna
visione collettiva rivendicare un diritto sia una sorta di capriccio.
Ebbene, in questo grottesco teatro in cui il “cittadino modello” si autocelebra, la
dimensione individuale brutalmente viene calpestata. La prospettiva di chiunque,
quale che sia il motivo, si trovi a vivere con difficoltà questa sorta di distopia odierna
a causa di questioni che non coincidano con l’emergenza sanitaria, va ridicolizzata,
sminuita, ridotta a “negazionismo”, “complottismo” ed altri nomignoli da bullo degni
del peggior Nelson della nota serie animata “I Simpson”.
Ecco quindi che quanti scendono in piazza attanagliati dalla prospettiva di perdere il
lavoro immediatamente divengono fasci&camorristi, e la testimonianza di coloro che
, più o meno consci o alfabetizzati che siano, esprimono un disagio, viene liquidata
con l’invito a “farsi un giro nelle terapie intensive”.
La dimensione di quanti si trovano a dover combattere con un disagio di natura
psicologica viene completamente ignorata, le rivendicazioni del proprio diritto a
esistere non è raro che vengano bollate come “egoismi”, “limiti sui quali bisogna
lavorare”.
Perché prima di tutto, sopra a ogni cosa, vi è questa imprescindibile entità, lo Stato
che #siamonoi, il bene collettivo che prescinde dall’individuo.
Come anche le necessità di quanti, al di la del dibattito politico, non riescono a
concepire per se stessi la prospettiva di vivere barattando le proprie libertà individuali
in cambio di un sussidio, non vengono ascoltate, nella migliore delle ipotesi.
Stiamo, a mio avviso, affrontando un problema estremamente complesso facendo
quanto di più sconveniente si possa concepire: stiamo polarizzando il dibattito, ci
stiamo prestando all’adesione a questa o a quella becera tifoseria mentre le nostre vite
vanno inesorabilmente al macero. Ci abbaiamo contro, come cani, perché abbiamo
paura. E le nostre paure sono diverse, perché siamo individui diversi. Ma non
riusciamo proprio ad empatizzare, tacciamo gli altri di egoismo ben trincerati nella
nostra torre di egoismo. Stiamo scivolando in un’agghiacciante spirale di benaltrismo
nella quale ogni analisi che esuli dalla situazione sanitaria viene concepita come se
fosse formulata al fine di sminuire la stessa. Stiamo semplificando, a scapito
dell’individuo e della sua complessità, a scapito di noi stessi.
Mi si perdonerà se tendo a vivere una deriva di questo tipo come un problema. Mi si
perdonerà al di la delle terapie intensive, dei morti, dei malati, che pure costituiscono

una situazione drammatica. Mi si perdonerà, forse, nell’esatto momento in cui si
cesserà di concepirsi come “membro di collettività” e si avvertirà il macabro brivido
di essere improvvisamente divenuti “individui sacrificabili”. Mi si perdonerà se le
mie paure non sono le medesime di chi legge. D’altra parte è delle percezioni, e non
delle Verità, che ho voluto scrivere. Queste, condivisibili o meno, sono le mie.

 

HEP