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Le piramidi sommerse di Yonaguni – Giappone

Le piramidi sommerse di Yonaguni – Giappone RISALENTI AD ALMENO 10MILA ANNI FA

VIDEO https://www.youtube.com/watch?v=eaCWbn65viI


Ipotesi archeologica
Le strutture, secondo Masaaki Kimura, geologo marino dell’Università di Ryukyu, ricordano le rovine di un antico castello, circondato da cinque templi, uno stadio ed un arco trionfale, resti sommersi di una antichissima civiltà. La cosa intrigante per molti appassionati di fanta-archeologia è che se fosse veramente una città sommersa potrebbe collocarsi temporalmente nel periodo del mitico continente di Atlantide. Di fatto, durante le prime ricerche, furono rinvenute tracce di flora, fauna ed anche stalattiti che fecero presupporre che il sito fosse stato in passato emerso.

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immersioni lungo i gradoni

Il team di Kimura ha ipotizzato che possa essere una delle più antiche piramidi costruite dall’uomo, cinquemila anni prima di quelle conosciute, costruita in un epoca non chiara al termine dell’ultima glaciazione. All’epoca, geologicamente parlando, Yonaguni faceva parte di un arco continentale che includeva le isole di Taiwan e le Ryūkyū, tra il Giappone e l’Asia. Il livello dei mari, a causa della glaciazione, era più basso di quello attuale per cui la struttura geologica doveva essere quindi emersa.

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Il professor Kimura ha calcolato l’età delle stalattiti ritrovate all’interno di alcune grotte sottomarine in oltre cinquemila anni. Nelle grotte si osservano sulle pareti dei petroglifi rappresentanti animali e persone, cosa che potrebbe confermare l’origine umana della struttura. Ma non tutti la pensano così. Il geologo Teruaki Oshii ritiene addirittura che esse siano state costruite ancora prima della fine dell’era glaciale … si apre quindi un’ipotesi ancora più intrigante … e se fossero le testimonianze delle rovine del continente scomparso Mu?

Mu, un continente perduto o un mito?
Nel XIX secolo un abate di nome Charles-Etienne Brasseur rinvenne nella biblioteca dell’Accademia Storica di Madrid una copia ridotta del monumentale trattato scritto da Landa, un monaco spagnolo del XVI secolo che asseriva di essere in grado di tradurre la lingua Maia. Brasseur, applicando il metodo del monaco, credette di aver tradotto uno dei pochissimi codici maya superstiti, il Codice Troano, utilizzando l’alfabeto maya inventato dal Landa ed ottenne un testo ambiguo e poco chiaro che sembrava parlare di una terra sprofondata negli abissi in seguito ad un cataclisma.

Il Codice di Madrid (conosciuto anche come Codice Tro-Cortesianus) è un manoscritto in lingua maya, risalente al periodo preispanico. Attualmente è conservato presso il Museo de América a Madrid. È formato da 112 pagine, suddivise in due differenti parti: il Codice Troano ed il Codice Cortesianus, riuniti nel 1888. Si ritiene che il codice provenga da Tayasal, l’odierna Flores, l’ultima città maya conquistata nel 1697; si pensa che fu Hernán Cortés a portarlo in Europa e a donarlo alla corte spagnola. da wikipedia

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Trovando nel testo alcuni simboli sconosciuti, Brasseur li tradusse con quelli suggeriti da Landa, ottenendo la parola “MU“, che egli ritenne fosse il nome della misteriosa terra. Così nacque la leggenda di questo continente perduto del Pacifico. La “scoperta” attirò molti curiosi tra cui un colonnello dell’esercito britannico in pensione, James Churchward che ritenne che il continente Mu fosse stato situato nell’oceano Pacifico, un vasto territorio che si sarebbe esteso dalle isole Hawaii ad una una linea immaginaria tracciata tra l’isola di Pasqua e le Figi. Al momento della sua scomparsa, circa 12.000 anni fa, secondo Churchward sarebbe stato abitato da 64 milioni di persone di varie razze, sulle quali predominava quella bianca, con molte grandi città e colonie negli altri continenti. Una bella leggenda che però non trova nessuna validazione archeologica, almeno con le conoscenze attuali. Questo non vuol dire che nel Pacifico non fiorirono però altre civiltà non meno misteriose. Sicuramente lo stile di alcuni reperti archeologici ritrovati nella spiaggia di Tuguru a Yonaguni fa supporre che gli antichi abitanti avessero contatti con le altre civiltà del sudest asiatico e che l’isola fosse un punto di passaggio commerciale tra il Giappone e Taiwan.
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La ricerca
Quando fu divulgata la scoperta di Yonaguni, il sito attirò immediatamente le televisioni di tutto il mondo; verso la fine del 1997 fu sviluppata la prima mappa della struttura che rivelò l’esistenza di un arco di roccia massiccio e diversi passaggi fra i blocchi che sembravano combaciare perfettamente tra loro. Inoltre, vennero ritrovate strutture simili a rampe di scale, strade lastricate ed incroci che conducevano a piazze circondate da piloni in pietra. Tutto ad una profondità compresa tra i 20 metri e 100 metri. La struttura sembra molto regolare e misura 120 metri in lunghezza, 40 metri in ampiezza e circa 25 metri in altezza.

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Le immagini parlano da sole e i dubbi rimangono. Cosa sono, dunque, questi enigmatici monoliti poggiati sul fondo del Pacifico? Formazioni naturali scolpite dall’incessante erosione dell’oceano, oppure rovine di una civiltà vissuta alla fine dell’era glaciale e scomparsa a seguito di cataclismi.
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Ma quale civiltà avrebbe potuto vivere e svilupparsi in quell’area geografica?
Gli archeologi ritengono che sin dall’antichità quell’area fu interessata da intensi contatti commerciali tra le diverse culture dell’indo-pacifico. Una tra le civiltà forse più interessanti e misteriose è la cultura Jomon, esistita tra i dodicimila e i duemila anni fa nelle isole giapponesi, spesso assimilata alle antiche culture precolombiane del Nord America.

Questa immagine ha l’attributo alt vuoto; il nome del file è jamon-giappone-2-707×1080-1-670×1024.jpg

un misterioso dogū del periodo Jomon

Il termine «Jōmon» non deriva da un nome locale ma è la traduzione in giapponese del termine inglese cord-marked («segnato dalle corde») che si riferisce ai motivi con cui questa civiltà decorava il vasellame di argilla ovvero utilizzando delle corde avvolte intorno a dei bastoni.

Il termine fu introdotto nel 1879 da Edward Sylvester Morse, studioso statunitense e professore di zoologia presso l’Università di Tokyo, che nel libro Shell Mounds of Omori descrisse i ritrovamenti del kaizuka («cumuli di conchiglie»)

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rielaborato dA https://alessandrosicurocomunication.com

ALESSANDRO BONAFEDE

www.isolacolombia.org