Vari paesi della UE stanno stabilendo nuove regole per l’attività delle piattaforme digitali, che sono in gran parte statunitensi. Queste aziende riescono a minimizzare le tasse da versare al fisco, nonostante la alta redditività nei mercati europei. L’impegno dei governi per rimediare alla diseguaglianza è costante ma inefficace.
Bruxelles ha fatto la proposta di concordare una tassa digitale globale, ma raggiungere un’intesa in un mercato globale così vasto non è affatto semplice.
Le entrate pubblicitarie di Google o Facebook in Spagna, d esempio, sono trasferite in Irlanda. Aluni stati europei preferiscono lasciare le cose così: per esempio Irlanda e Lussemburgo hanno una tassazione ridotta che sfiora il dumping fiscale, ma anche la Svezia, che teme effetti negativi per l’innovazione digitale.
Ciò provoca il blocco della cosiddetta “tassa Google europea” . La UE deve quindi trovare un accordo sulla questione in un contesto quello attuale segnato dall’aumento del debito e dal crollo delle entrate fiscali.”
l nuovo “conflitto” globale finanziario quindi si gioca nel campo della web tax: il progetto di tassare le grandi imprese digitali mondiali, andando però a incidere sulle casse di colossi come Facebook e Google. Dal World Economic Forum di Davos, gli Stati Uniti hanno alzato la voce, minacciando l’Italia e gli altri Paesi europei di dazi se verranno portati avanti i progetti che riguardano la web tax. Dalla Svizzera il segretario al Tesoro Usa, Steve Mnuchin, ha tuonato, soprattuto contro Roma, Londra e Parigi: ”Se non fermano i loro piani si troveranno ad affrontare i dazi del presidente Trump”.
Ma se a livello globale lo scontro è tra States ed Europa, anche all’interno del Vecchio continente ci sono molte divisioni, tra chi chiede una digital tax globale, chi è poco interessato per i pochi vantaggi e chi invece intende andare avanti su questo fronte, anche in solitaria.”
redazione ISOLA
www.isolacolombia.org